Henri Cartier Bresson e l’occhio del Fotografo


Recentemente mi è capitato di vedere con alcuni amici la bellissima mostra di un grande Maestro della fotografia: Henri Cartier Bresson. Certo, le opere di Bresson le apprezzavo e le conoscevo già, almeno nella gran parte. Ma, nel passeggiare nei locali dove la mostra è stata (sapientemente) allestita, la folgorazione è arrivata. Inaspettata e potente. Una riflessione: quanto istinto e quanta magia negli scatti appesi a parete. Un consiglio (che viene dall’amore profondo che nutro per la fotografia): chiunque si voglia avvicinare (o riavvicinare) a questa dimensione fatta di occhi, lenti e cuore – surrogato concettuale della realtà – dovrebbe vederla appassionatamente e con grande attenzione; soprattutto oggi che, tecnologicamente parlando, possiamo fare di tutto con le immagini (non foto, beninteso; immagini!). Ebbene, HCB, con mezzi arcaici e con una tecnica che ad una prima occhiata superficiale sembra completamente “sballata”, ci insegna cos’è una Fotografia. Con la F maiuscola, per l’appunto.  Il gusto per la composizione, le linee geometriche per far correre lo sguardo dello spettatore verso mondi inesplorati dell’inconscio (eppure quella foto non parla di noi!), il punto di vista mai banale (le inquadrature son quasi sempre dall’alto o dal basso), quella predilezione estetica per un bianco e nero, contrastato, pieno di vita e di profondità concettuale, inarrivabile persino oggi e per chi, come molti di noi, è alla ricerca forsennata della purezza formale di uno scatto. E proprio questo è il punto. Qui l’attenzione al contesto si fa stravolgente. Il minimalismo a volte, la densità di particolari in altre occasioni, raccontano storie, con un altro punto di vista, quello dell’autore, che riesce a farci immergere nella pienezza di un evento – anche storico (ad esempio l’incoronazione di re Giorgio VI) – senza immortalare mai il “presunto” protagonista. HCB, ci dice dunque, alla sua maniera, sferrandoci  peraltro un pugno forte nello stomaco tale da lasciarci senza fiato, che la magia che abbiamo dentro e che vorremmo rappresentare nei nostri scatti non sta nella tecnica perfetta o nella sua rigida applicazione, nel gusto degli altri, ma è altro. E’ innovazione, occhio, attimo colto (mai per caso), tecnica applicata nella deroga alla medesima, tagli impensabili, coraggio, consapevolezza, attenzione ai particolari. E istinto, tanto istinto e, in definitiva, genio per chi è più fortunato. Agli albori della sua produzione, quella degli anni 30 del secolo scorso per intenderci – dove già è presente con forza un grande Bresson – apparentemente, la tecnica appare scarna e quasi casuale, ma basta osservare per qualche istante in più (davvero trattasi di pochissimi istanti) per riportarci nell’assoluto: quel taglio sulle caviglie dei soggetti ripresi nelle foto, non è “per caso”, non è determinato dalla fretta nello scattare, ma è una ricerca attenta e ragionata. Quelle immagini “mosse” (che tanto creano un imprinting deflagrante negli  scatti di Bresson), o, per meglio dire dinamiche – come un fiume in piena o come un nipponico Shinkansen nella sua folle (eppur ragionata) corsa – spezzano un attimo in tanti attimi e si fanno storia (come fossero  una pellicola cinematografica e non delle foto). Quelle linee che si incrociano alte nel “frame”, non sono un elemento che distrae, ma, paradossalmente, il fulcro dello scatto stesso che ci guida nel significato più profondo. Quei neri “ultra contrastati” (e pur sempre leggibili) non sono una svista nello sviluppo, ma una metafora a volte, un simbolo, in altri casi, una scelta estetica  che cristallizza lo spirito dell’autore, sempre. Il punto di vista del fotografo, restituisce altre magie: HCB si diverte (mi piace pensarlo) a farci entrare in uno scatto (con l’aiuto del suo genio, certo). E’ impensabile, ma vi assicuro che è così. Neanche il teletrasporto presente nei telefilm di Star Trek sarebbe così efficace. Pochi secondi ad osservare una foto e siamo lì dentro, appoggiati ad un muretto, insieme ad altri uomini dell’epoca, intenti ad osservare stupiti una diagonale magica disegnata dalle rotaie di un treno. Un treno diverso, però, che ci porta diretti verso il significato di questa grande arte. Il tutto nelle mani esperte e con il privilegio di vedere la realtà (trasfigurata) con gli occhi di un grande uomo che, per avventura, ha deciso  di scattare foto. Semplicemente. Senza apparenti superfetazioni. Facendoci credere – ennesimo grande incantesimo –  che tutto ciò sia alla nostra portata. Personalmente lo ringrazio anche per questo, pur trattandosi (effettivamente) di una vana e quanto mai effimera speranza.


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